L'Aquila. Basilica di Collemaggio. Rosone principale. XIII-XIV secolo

sabato 25 settembre 2010

Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici


“Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici”: è questo il titolo dato alla mostra che celebra i cinquecento anno dalla nascita di un grande artista ancora troppo sottovalutato riunendo circa l’80% della sua produzione e presentando alcune opere inedite. Attraverso sette sezioni è possibile ripercorrere tutta la vicenda artistica di Agnolo di Cosimo di Mariano, dall’apprendistato nella bottega del Pontormo al passaggio di consegne nelle mani dell’allievo Allessandro Allori. Il percorso prende avvio con i quattro tondi degli “Evangelisti” eseguiti tra 1525 e 1528 dal Pontormo per la Cappella Capponi di Santa Felicita in Firenze; solo il “San Giovanni” è opera del Bronzino. Nella “Sacra Famiglia con Santa Elisabetta e San Giovannino” (1526-1528) sono ancora evidenti i modelli del maestro di Empoli, soprattutto presenti nella “Salita al Calvario” (1525) eseguita per la Certosa del Galluzzo e qui esposta per rendere un buon paragone tra le opere. La “Madonna col Bambino tra San Girolamo e San Francesco d’Assisi” (1572) subisce varie vicende d’attribuzione essendo prima stato assegnato al Pontormo, poi al Bronzino, ora a Mirabello Cavalori. Nel “San Michele Arcangelo” (1525-1528) i drappeggi rigonfi sono netti riferimenti al Pontormo, mentre il fondo oro è aggiunta tarda, ma nel “Compianto su Cristo morto” (1529) l’arte di Agnolo inizia a farsi indipendente dal maestro prediligendo una particolare pacatezza di composizione e una pittura sensibile alle variazioni luminose sull’epidermide e sui panni. La seconda sezione raccoglie le opere prodotte durante il soggiorno pesarese essendo Firenze assediata. Nella città che darà i natali a Rossini la corte Della Rovere è animato ambiente di artisti, intellettuali e collezionisti. In “Il Pigmalione e Galatea” (1529-1530) si riscontra il ritratto di Francesco Guardi individuato nell’“Alabardiere” del Paul Getty Museum di Los Angeles. “I diecimila Martiri” del Bronzino è ben paragonabile a “I diecimila Martiri” che il Pontormo esegue per l’Ospedale degli Innocenti negli anni dell’Assedio di Firenze e in cui le derivazioni michelangiolesche sono combinate con stilemi d’arte tedesca, mentre “La sfida di Apollo e Marsia” (1530-1532), dall’Hermitage di San Pietroburgo, è stato in passato attribuito al Correggio. Il “Ritratto di Guidobaldo II della Rovere” (1530-1532) è il primo ritratto di rappresentanza dipinto dall’artista: il diciottenne soggetto ha tutti gli attributi di un gran signore come l’iscrizione greca, l’armatura lucente giunta appositamente dalla Lombardia, il cane e la brachetta imbottita secondo la moda dell’epoca. Da un cartone di Michelangelo Buonarroti il Bronzino copia il “Noli me tangere” al suo ritorno da Pesaro. Al periodo delle prime commissioni autonome è da attribuire la “Madonna con Bambino e San Giovannino” (1530) dai caratteristici chiaroscuri e dai colori vivi e contrapposti. Nella “Madonna con Bambino e San Giovannino” (1526-1529) l’artista opera chiari rimandi al Pontormo nell’allungamento delle figure, mentre il preziosismo coloristico e il nitore degli incarnati sono acerbi elementi del Bronzino maturo. La terza sezione tratta dal profondo legame tra il Bronzino e Cosimo I dé Medici che lo elegge quale pittore ufficiale della dinastia fino al 1564 quando subentra il Vasari. Nella sala sono esposti cinque preziosissimi arazzi di una serie ben più vasta voluti dal Granduca Cosimo I per la Sala dé Dugento di Palazzo Vecchio al fine di creare quello sfarzo che è presente nelle altre corti europee: per far questo fa venire dalle Fiandre due arazzieri fondando l’Arazzeria Medicea nel 1545. La serie, composta da sei arazzi su cartoni del Pontormo, uno di Francesco Salviati e ben sedici del Bronzino, copriva tutte le pareti della sala, comprese le finestre, creando un ambiente globale così come si faceva nelle corti del Nord Europa. Parte degli esemplari sono andati al Palazzo del Quirinale a Roma, mentre quelli rimasti a Firenze sono rimasti esposti in loco fino al 1983, anno in cui sono stati sottoposti a laboriosi restauri da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali dato il loro avanzato stato di degrado. Essi dunque sono: “Giuseppe riceve Beniamino” (1550-1553), “Giuseppe fugge dalla moglie Putifarre” (1549; è metafora dei Medici cacciati da Firenze e ritornativi da trionfatori), “Giuseppe si fa riconoscere dai suoi fratelli e congeda gli egiziani” (1550-1553), “Incontro con Giacobbe in Egitto” (1550-1553) e “Giacobbe benedice i figli di Giuseppe” (1550-1553; la scena ricorda la tavola del Pontorno per la Camera Borgheresi, oggi a Londra, ma la ricca ambientazione e la gestualità richiamo alla produzione di arazzi di Bruxelles del XVI secolo). I “Dieci ritratti di Medici” (1555-1565) fanno parte di una serie di trenta ritratti, ma le fisionomia sono riprese di personaggi di opere già esistenti. Il “Ritratto di Cosimo I dè Medici” (1560) è opera di bottega e deriva dall’effige di Cosimo quarantaduenne; l’armatura è sostituita da abiti quotidiani avendo orami il Duca già conquistato Siena e tutta la Toscana. Il “Ritratto di Francesco di Cosimo I dé Medici” (1551) ben si affianca al “Ritratto di Maria di Cosimo I dé Medici” (1550-1551) dalla bellezza rimarcata grazie ai preziosi ornamenti. A Baccio Bandinelli si deve il “Busto di Cosimo I dé Medici” (1542-1544) con un’armatura all’antica decorata da una testa di capricorno, suo segno zodiacale d’elezione essendo il segno di Augusto e Carlo V rivelando una volontà autocelebrativa: di qui le conclusione secondo le quali Bandinelli è ritrattista in scultura imperiale antica, mentre il Bronzino in pittura imperiale moderna ispanico-borbonica. Il celebre “Ritratto di Bia di Cosimo I dé Medici” (1542) presenta l’illegittima figlia del Granduca indossare un gamurrino di raso bianco con spillini rigonfi, una collana di perle, una catenella dorata al collo, un medaglione con profilo di Cosimo I, mentre lo sfondo è di un neutro colore di Pietra Blu. Il “Ritratto di Giovinetta con libro (Giulia di Alessandro dé Medici)” (1548-1550) presenta il caratteristico taglio del busto e una frontalità regale. Il tenero “Ritratto di Giovanni di Cosimo I dé Medici” (1545) mostra il paffuto bambino in abito di raso di seta rossa con colletto e polsini in pizzo e una cardellino stretto nella mano sinistra. L’“Allegoria della felicità perduta” (1567-1568) narra del raggiungimento della felicità pubblica attraverso l’esercizio della prudenza e della giustizia. Segue la sala dedicata alla produzione artistica per Eleonora di Toledo, per la quale è stata realizzata la cappella personale in Palazzo Vecchio. Il frammento di “San Cosma” (1543-1545) è esposto per la prima volta al pubblico dal momento del suo ritrovamento dovuto a Philippe Costamagna e con il coevo “San Giovanni Battista” (1543-1545) sono stati donati dal Granduca alla Francia e oggi sostituiti da un’“Annunciazione” insieme al “Compianto su Cristo morto”, replica eseguita dallo stesso Bronzino nel 1553. A proposito del “Ritratto di Cosimo I dé Medici” (1544-1545) Paolo Giovio dice che qui l’artista supera per la prima volta il suo maestro Pontormo: mostra il granduca in tre quarti e questa presente in mostra è una delle due copie conservate agli Uffizi e a Sydney. Il celeberrimo “Ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio Giovanni” (1545) è stato eseguito durante un soggiorno nella Villa di Poggio a Caiano. Esprime orgoglio dinastico. L’abito della Granduchessa presenta un motivo a melagrana ed è impreziosito da cordoni che arricciano le maniche, orecchini e pendenti, fili di perle, una cintura terminante in sontuosa nappa, nonché da una rete coprente spalle e capelli: tutti attributi che fanno di lei una vera e propria icona del potere.  Un’interessante sezione è quella che vede la vicenda del Bronzino al fianco della famiglia Panciatichi. Bartolomeo Panciatichi entra nell’Accademia degli Umidi, poi Accademia Fiorentina, come poeta, insieme al Bronzino. In seguito è stato ambasciatore dei Medici a Parigi, poi accusato di luteranesimo ed infine scagionato dallo stesso Cosimo I. Esito di questa vicenda è l’esemplare “Cristo crocifisso” (1540), anche questo per la prima volta esposto dopo il ritrovamento ad opera di Philippe Costamagna, che spicca per il fatto che una cappella di pietra serena in penombra racchiude un corpo di Cristo quasi in avorio; una simile soluzione compositiva è stata adottata nel famoso “Ritratto di Lucrezia Panciatichi” (1541-1545) con nelle mani il Libro d’Ore dal quale è leggibile il Salmo 150. L’alto rango sociale della donna è sottolineato dalla posa, dall’abito e dai gioielli con una cintura di pietre dure montate in oro e perle con rubino al centro di un pendente rotondo. Nella catena è inciso SANS FIN AMOUR DURE SANS (senza fine amore dura senza) in riferimento all’infinita circolarità dell’amore di Dio per gli uomini. Il “Ritratto di Bartolomeo Panciatichi” (1541-1545) mostra sulla desta del soggetto lo stemma della famiglia e uno stendardo con simile stemma su un torrione è presente nella “Sacra famiglia con San Giovannino (Madonna Panciatichi)” (1538-1540) in cui le forme scultoree del Bambino richiamo ad un Cupido dormiente. Bronzino e le arti è il tema di un’altra sezione che descrive l’artista non solo come pittore, ma anche come ottimo poeta tra gli eletti dell’Accademia degli Umidi, all’interno della quale fu particolarmente apprezzato da Benedetto Varchi che nel 1549 pubblica un volume che riuniva, oltre a lettere di Michelangelo, Pontormo, Benvenuto Cellini, anche del Bronzino. Di Pierino da Vinci è il bassorilievo “Pisa Restaurata da Cosimo I dé Medici (1550-1552), in cui il Granduca e la personificazione di Pisa separano in due la composizione dell’opera. A sinistra sono posti i protagonisti della rinascita cittadina, col fiume Arno e un genio della vittoria che giunge offrendo la corona ducale, mentre sulla destra sono i vizi in fuga. In due vetrine sono collocate cinque opere letterarie: “Delle Rime Libro Primo” (1566), “Le Rime in Buria” (1572), “Il Rivaggiuolo” (1572), manoscritti del Bronzino, mentre “Disputa della maggioranza dell’arti” (1549) e “Sonetti spirituali” (1573), sono due trattati che discutono sul paragone tra scultura e pittura: siamo di fronte alla prima inchiesta pubblica stampata dedicata ai temi figurativi. Il “Ritratto allegorico di Dante” (1532-1533) è eseguito per Bartolomeo Bettini dopo il soggiorno pesarese insieme ad altri due ritratti allegorici di Petrarca e Boccaccio di cui solo questo è giunto fino a noi. Il sommo poeta stringe una Commedia aperta al Canto XXV del Paradiso (nel quale esprime il desiderio di tornare dall’esilio, tema che toccava anche Cellini e Michelangelo, impegnati alla difesa della Repubblica); il coevo “Ritratto allegorico di Dante” (1541) è replica di bottega: in questa tavola ci vengono dati quei particolari che nell’originale sono consunti come la scrittura sul libro o alcuni tratti di paesaggio. “Venere e Amore” (1532-1535) è opera del Pontormo, da un cartone di Michelangelo. Bartolomeo Battini (repubblicano) commissiona a Michelangelo il cartone che viene sequestrato dagli emissari del Duca Alessandro dé Medici per “far del male a Bettino”. Il “Ritratto di Laura Battiferri” (1555-1560) propone la vedova poetessa di Urbino, che andrà sposa a Bartolomeo Ammanati entrando nell’Accademia Fiorentina, con in mano la prima edizione tascabile delle “Rime” di Petrarca (pubblicata a Venezia nel 1511) e l’essere ritratta di profilo rimanda all’effige dantesca. Di Bartolomeo Ammanati è “Leda e il cigno”, scultura del quarto decennio del XVI secolo che propone una trasposizione fedele dell’omonima opera pittorica di Michelangelo andata perduta. Del 1527-1528 è il “Ritratto di Lorenzo Lenzi”, filorepubblicano, dodicenne. Sul libro aperto si legge il sonetto CXLVI del Canzoniere di Petrarca e l’incipit di “Famose frondi” che Benedetto Varchi gli dedicò invaghendosi di lui: conosciuti nel 1527 la loro amicizia durò a lungo. Gli occhi sgranati rivelano un’espressione intensa e gli elementi fisionomici attentamente indagati svelano la lucida adesione del pittore alla realtà naturale. “Venere, Amore e Satiro” (1553-1555) è una delle tre allegorie col tema della passione prodotte dall’autore e “Venere, Amore e Gelosia (o Invidia)” (1550) presenta la Dea volgere verso di sé il dardo di Cupido tenuto sotto i genitali del figlio. Indagini riflettografiche hanno messo in luce, nel disegno preparatorio, la presenza di un satiro che nella redazione finale viene in basso ridotto a maschera, fatto però di carne viva. “Gaminede e l’aquila” (1548-1550) è di Benvenuto Cellini. Cosimo I aveva ricevuto in dono da Stefano Colonna un frammento marmoreo artistico e Cellini, in presenza dell’odiato Baccio Bandinelli, si propone al Duca di completarlo: è la prima volta che l’orafo affronta la scultura lapidea. Il “Ritratto del Nano Morgante” (ante 153), in fronte e retro, propone non solo due vedute del nano, ma anche lo scorrere del tempo: sul fronte c’è l’inizio di una caccia, sul retro la sua fine. La “Dea della Natura” (1528), altra scultura, è di Niccolo Tribolo che si collega al processo generativo che trae origine dall’acqua combinata col calore del sole generante la vita: ciò giustifica la presenza dei sessi maschile e femminile e degli animali. Ancora di Pierino da Vinci è “Dioniso e Ampelo” (1548-1550). La scultura è costruita intorno ad un frammento antico. Ampelo e la maschera appesa al tronco suggeriscono dipendenza da elaborazioni michelangiolesche del Tribolo, mentre la mano di Pierino è da rintracciare nella grazia femminea delle figure. La sezione dei temi sacri espone capolavori che sono uno specchio dei mutamenti religiosi dell’epoca che oscilla tra idee filoriformate a quelle ferree tridentine. Il “Sant’Andrea” (1556) e il “San Bartolomeo” (1556) sono due tavole tagliate facenti parte di una pala, andata frammentata, per l’altare delle Grazie del Duomo di Pisa; nel “San Bartolomeo”, in particolare, il modo in cui è trattata la figura del Santo attesta l’interesse del Bronzino per il dibattito sulla rappresentazione dell’anatomia umana. Il “Cristo portacroce” (1555-1560) è stato solo di recente attribuito al Bronzino da Philippe Costamagna e Carlo Falciani ed è per la prima volta esposto in pubblico: era forse parte di un apparato funerario per le esequie di un importante fiorentino. Le piccole dimensioni del “Compianto su Cristo morto” (1568-1569) suggeriscono l’appartenenza al Granduca Cosimo I che le apprezzava particolarmente. Gesti enfatici ed espressioni dolorose sono tipiche del messaggio controriformato. Al gioco di sguardi si aggiunge la gamma cromatica intensa e brillante che raggiunge effetti di traslucido grazie al supporto metallico. “San Giovanni Battista (Ritratto di Giovanni di Cosimo I dé Medici ?)” (1560-1561), mostra nei panni del Santo Giovanni dé Medici, che era stato avviato alla carriera ecclesiatica, ma muore di malaria a soli diciannove anni, quando era già stato creato Cardinale. L’evocazione dei torsi ellenistici e la nudità eroica classica accentuano la sensibilità del nudo a scapito della dimensione mistica del soggetto. La “Pietà” (1569) è stata commissionata da Giovanni Battista Della Fonte per la sua sepoltura in Santa Croce e presenta una struttura anatomica che guarda all’ultimo Michelangelo e al Pontormo. L’imponente “Resurrezione”(1552) è stata criticata dagli intellettuali controriformati per la presenza di nudi giudicati lascivi, in particolare l’angelo a sinistra. Da Vienna proviene la “Sacra famiglia con Sant’Anna e San Giovannino” (1545-1550) che propone Maria con in mano il libro di Isaia (scritto in ebraico). Dietro la testa c’è una villa la cui identificazione sarebbe risolutiva per l’attribuzione dell’opera; da Parigi è invece la “Sacra famiglia con Sant’Anna e San Giovannino” (1550-1560) che ne è replica. Il disegno sotto lo strato pittorico della seconda versione confermerebbe questo dato per il semplice fatto che nell’originale non c’è. Il cielo diventa sereno, mentre sparisce il titolo dalla copertina del libro che ha in mano Maria. L’“Adorazione dei pastori” (1539-1540) presenta il bambino posato su un frammento architettonico; la torsione del pastore ha come modello il Torso del Belvedere (ai Musei Vaticani) e Giuseppe è ispirato all’Isaia affrescato da Michelangelo nella Cappella Sistina. L’accuratezza dei lineamenti del “San Sebastiano” (1532-1535) lo paragonano a un ritratto e la nudità rimanda agli stilemi ellenistici: ne consegue una fascinazione erotica d’un santo intercessore. Nutrita è la sezione dei ritratti, grazie ai quali il Bronzino è celebrato dal Vasari come il più grande ritrattista, fissando nelle tele l’immagine del potere e, allo stesso tempo, la rappresentazione di un’epoca. Nel “Ritratto di Luca Martini” (1554-1556) il soggetto ha in mano una carta del territorio pisano. Il “Ritratto di Andrea Doria nella veste di Nettuno” (1545-1546) è un nudo attaccato all’albero maestro d’una nave coi genitali nascosti  dalla vela. In origine il ritrattato avevano in mano un remo che è stato poi trasformato nell’attuale tridente della divinità marina. Il “Ritratto di giovane con libro” (1534-1538) presenta un disegno preparatore in cui la testa è molto più piccola e meno idealizzata della redazione finale. La posa disinvolta richiama all’“Alabardiere” del Pontormo. Il giovane indossa un attillato farsetto nero con maniche voluminose, spacchi laterali, cintura blu e bel cappello: è un elegantissimo sconosciuto. Il “Ritratto di Donna (Figlia di Matteo Sofferoni?)” (1530-1532) ha abbigliamento accurato, ma non appariscente: tra i gioielli spicca solo un anello all’indice sinistro, mentre gli attributi tipici della dame mancano tutti. Il “Ritratto di dama con cagnolino” (1530-1532) è già stato attribuito al Pontormo ed appartiene, invece, alla seconda parte del periodo pesarese del Bronzino. La fedeltà coniugale è rappresentata dal cane, quella religiosa dal Rosario terminante in nappa e l’amore per la poesia è testimoniato dai volumi posati sulla mensola. L’abito è rigonfio, l’acconciatura accurata e la catena al collo è di sicura preziosità. Nel “Ritratto di giovane con liuto” (1532-1534), dello strumento tenuto in mano è visibile solo il cavigliere. Sul tavolo c’è una statuetta-calamaio in cui una bagnante sta per intingere il piede nell’inchiostro. Il ritratto si identifica con il poeta e musicista Giovanni Battista Strozzi. La posa, con il suo improvviso volgere lo sguardo verso fuori campo, rimanda alla statua di Giuliano dé Medici di Michelangelo nella Sacrestia Nuova in San Lorenzo. Il “Ritratto di dama (Casandra Bandini?)” (1550-1555) è evidente per i tessuti:  dalle garze di seta sul fondo al ricco damasco di seta rossa della zimarra di lei con velluti, bottoni e pennacchi di fili di seta. Il “Ritratto di uomo (Pietrantonio Bandini?)” (1550-1555) presenta un ampio damasco nero su casacca di rosso intenso con, alle spalle del soggetto, una statuetta di Venere pudica. L’ultima sezione espone opere scelte di Alessandro Allori, allievo prediletto che prende le redini dell’arte del maestro all’avvento della sua morte avvenuta nel 1572. Allo stile del Bronzino aggiunge una forte disposizione sentimentale e un naturalismo sempre più presente. Del Bronzino è la “Sacra famiglia con San Giovannino” (1555-1559), mentre la mano dell’Allori è riconoscibile là dove la pittura diventa più fredda e ferma. Il “Cristo crocifisso tra la Madonna e San Giovanni Battista” (1550-1555) è la prima opera autonoma dell’Allori dal Bronzino, ma i riferimenti al maestro, a Michelangelo e allo studio dell’anatomia sono molto palesi. Il “Ritratto di Ortensia dé Bardi” (1559) è stato già attribuito al Bronzino, ora all’Allori. Sul tavolo si nota un piccola replica della Vita contemplativa di Michelangelo posta sul monumento funebre di Giulio II dé Medici nella Sacrestia Nuova in San Lorenzo. La grande mostra è chiusa dalla “Maddalena penitente” (1602), opera matura dell’Allori, in cui l’attenzione ai volumi fisionomici della natura del Bronzino entra nel nuovo secolo per mano del suo allievo che la unisce ad una sensibilità controriformata. La mostra è in Palazzo Strozzi dal 24 settembre 2010 al 23 gennaio 2011.
Firenze, Palazzo Strozzi. Il 24 settembre 2010.


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