L'Aquila. Basilica di Collemaggio. Rosone principale. XIII-XIV secolo

giovedì 9 settembre 2010

Al Museo Archeologico Nazionale di Firenze

Come già accennato in altro post presente in questo blog, durante la festa della Rificolona in Piazza SS.ma Annunziata a Firenze, il 7 settembre 2010, ho avuto modo di constatare con mio grande entusiasmo l’apertura straordinaria, per l’occasione, del Museo Archeologico Nazionale. Mi si permetta ora, di spendere alcune considerazioni a riguardo di questa struttura che ha un grandissimo potenziale culturale, ma che continua a utilizzata molto male. Mi riferisco innanzitutto all’allestimento. Ad oggi ancora non è stato terminato il processo di riordino e restauro delle vaste e complesse collezioni che si è rilevato urgente all’indomani dell’alluvione del 1966, per cui molti ambienti e sezioni sono ancora interdette. Il visitatore che giunge varcando la soglia prospiciente la Piazza dell’Annunziata è accolto da un hall che è sistemata molto bene essendo dotata anche di un fornito bookshop. Iniziando a percorrere i vari ambienti iniziano le delusioni: lapidi e cippi funerari soprattutto etruschi di buona fattura appoggiati su rozzi tavoli da bottega, frammenti scultorei e architettonici accatastati in vari angoli e sommersi dalla polvere: opere che se ne stanno lì e dalle quali quasi sentiamo il loro pianto di nostalgia, di fatto un vero e proprio crimine alla nostra identità messo in bella mostra. Il fabbricato è unito al Palazzo della Crocetta (dove ha sede la parte più cospicua della raccolta) da un braccio diviso in due livelli completamente inutilizzato attraversato il quale realizziamo il fatto di aver visitato almeno meta del museo che ci si presenta con un contenitore praticamente vuoto, almeno fino a questo punto. Si attraversa un ambiente con tanto di macchinette distributrici di caffè e break e si accede alla Crocetta. Qui, finalmente, iniziamo a trovare ambienti degni di essere menzionati sotto il termine di “museo”. E’ qui che si svolge il grosso della visita. Tra primo e secondo piano sono possibili ammirare l’Antiquarium Etrusco-Greco-Romano, il Museo topografico dell’Etruria e il Museo Egizio (il secondo in Italia, dopo quello di Torino, per ricchezza e qualità delle collezioni). Mentre continuano ad essere inaccessibili il Gabinetto Numismatico, il Corridoio delle Anfore e delle Iscrizioni (che dovrebbe trovare sistemazione nel corpo di fabbrica che unisce il fabbricato della Crocetta con quello prospiciente la Piazza della SS. Annunziata), il Museo dei Gessi, la Galleria in fac-simile della pittura etrusca; mentre la Sezione glittica con gemme e cammei romani e rinascimentali (che ha trovato degna sede nel corridoio che unisce il complesso museale alla Basilica dell’Annunziata) e la collezione delle oreficerie etrusche e romane non sono visitali a causa di una cronica mancanza di personale di sala. Seguendo il percorso ci imbattiamo in opere di superba bellezza e di grandissima importanza che molto spesso abbiamo incontrato anche nei libri di Storia dell’Arte durante i nostri anni di liceo: Il Vaso François, cratere a volute, capolavoro della produzione attica con pittura vascolare a figure nere databile intorno al 570 a.C. e rinvenuto dall’archeologo fiorentino Alessandro François (da cui il nome) nel 1895 presso la necropoli di Fonte Rotella, sita nei dintorni di Chiusi, in Provincia di Siena. Impressiona molto pensare che un’opera di tale levatura possa essere stata distrutta in oltre 600 frammenti dalla cecità della collera di un custode del museo agli inizi del XX secolo. L’importanza dell’opera è arricchita anche dalle firme degli autori che compaiono insieme in ben due punti: trattasi del ceramista Ergotimos e del ceramografo Kleitias. E’ il mito di Achille il leitmotiv delle scene trattate sui sette registri orizzontali e arricchite da raffinate decorazioni: ecco dunque ritrovarvi danze di giovani ateniesi con l’arrivo della nave che li riporterà in Patria, la caccia al ginghiale calidonio, una centauromachia, i giochi funebri in onore di Patroclo con la corsa dei carri, una magnifica processione degli Dei alle nozze di Peleo e Teti, l’agguato di Achille a Troilo sotto le mura di Troia, il ritorno di Efesto sull’Olimpo, una geranomachia che è la prima testimonianza di questo tema ripreso direttamente dall’Iliade di Omero; sulle anse sono raffigurate Artemide e Aiaice col corpo d’Achille ucciso, mentre all’interno compare una gorgoneion. La Mater Matuta è la divinità italica della fecondità e della maternità: ad essa è dedicata un’urna cineraria fetida raffigurante una figura femminile seduta col bambino rinvenuta nelle pressi di Chianciano Terme e databile al 460-450 a.C. Il Sarcofago fittile policromo di Larthia Seianti, moglie di Svenia è di provenienza chiusina e databile alla prima metà del II secolo a.C. Decorato sulla cassa da rosoni alternati a pilastrini ionici scanalati sormontati da un fregio di ovoli, ritrae, sul coperchio, la defunta nell’atto di scostare il velo dal volto per potersi meglio osservare nello specchio che tiene nella mano sinistra. Dialogano, fronteggiandosi, l’Apollino Milani (kouros in marmo insulare degli ultimi decenni del VI secolo a.C.) e l’Apollo Milani (kouros in marmo pario databile al 540-530 a.C. la cui testa, riapplicata, ha naso e mento restaurati in maniera non pertinente). I due kouros (sculture funerarie o votive di epoca arcaica raffiguranti giovani uomini) provengono dalla Grecia e furono donati dal Milani. Il Sarcofago delle Amazzoni è in marmo microasiatico, proviene da Tarquinia e databile alla fine del IV secolo a.C.: ha cassa decorata a tempera con scene di Amazzonomachia, mentre sui frontoni del coperchio troviamo il bassorilevo con “Atteone sbranato dai cani di Artemide”; sul coperchio sono incisi il nome della defunta Ramtha Huzcnai e di suo figlio Larth Apaiatru (dedicante, magistrato). Il Sarcofago dell’obeso è in alabastro, proviene da Chiusi ed è collocabile al II secolo a.C. Nel fondo della galleria al piano nobile, costeggiato da opere di ritrattistica bronzea, si viene al cospetto dell’Idolo di Pesaro, statua bronzea di giovane ignudo in atto di compiere una libagione, rinvenuta nel 1530 a Pesaro. Al momento della scoperta identificato come “Bacco”, poi come “Idolo” dal 1646, “Apollo” o “Genio etrusco” nel 1737, “Mercurio” nel 1818 e infine è nominato come “Idolino” nel 1890 essendo nelle collezioni medicee agli Uffizi. Il piedistallo, recentemente attribuito allo scultore ferrarese Girolamo Lombardo, fu costruito appositamente per la statua, poco dopo la sua scoperta, e la identifica con Dioniso (Bacco per i Romani), come indicato dalla decorazione a festoni di edera e tralci di vite, dai rilievi figurati (con il matrimonio di Dioniso e Arianna e il sacrificio di un caprone) e dall’iscrizione in latino, che allude esplicitamente al culto di Dioniso praticato anticamente a Delfi assieme a quello di Apollo. L’identificazione come Dioniso deriva dal tralcio di vite (ora in parte al Bargello), rinvenuto nella mano sinistra della statua e staccato nel 1768. Dapprima ritenuta originale greco di scuola policletea, l’opera è stata poi interpretata con rielaborazione eclettica di età augustea di un tipo statuario di atleta del V secolo a.C. La statua di Minerva è stata rinvenuta nel 1541 presso la chiesa di San Lorenzo ad Arezzo e sottoposta a successivi restauri: nel XVI secolo, con integrazioni del gesso dipinto, e nel 1785, con ricostruzione del braccio destro in bronzo; è una probabile copia etrusco-romana del I secolo a.C. da un originale prassitelico databile al 340-330 a.C. La celeberrima Chimera di Arezzo è stata rinvenuta nel 1553 nella città vasariana fuori la Porta San Lorentino ed è databile entro un arco di tempo che va dalla seconda metà del V secolo a.C. alla prima metà del IV secolo a.C. Rappresenta il famoso essere mitico con tre teste (di leone, di capra e di serpente) e corpo leonino, in lotta con Bellerofonte, con il quale verosimilmente formava un gruppo votivo. La coda, di restauro (1785), non rispetta l’impostazione originale; non sembra fondata la notizia del restauro delle zampe di sinistra ad opera di Benvenuto Cellini. L’iscrizione TINSCVIL sulla zampa anteriore destra è la formula dedicatoria: offerta votiva all’etrusco dio Tin (il Giove romano). L’Arringatore è opera etrusca degli inizi del I secolo a.C. rinvenuta nel 1566 a Sanguineto (Perugia). Rappresenta l’aristocratico Aule Meteli (figlio di Vel e di Velsi, come indicato dall’iscrizione dedicatoria in lingua etrusca sull’orlo inferiore della toga), nell’atto di chiedere il silenzio per prendere la parola nell’assemblea. Le sale del Museo Egizio illustrano l’evoluzione di tale civiltà dalla preistoria al Nuovo Regno, mentre il previsto ampliamento espositivo consentirà  sia di documentare il III Periodo Intermedio (1085-656 a.C.) e l’Egitto saitico, tolemaico, romano e bizantino, sia di presentare i risultati degli scavi effettuati dal’Istituto Papirologico Fiorentino, a el-Hiba (1934-1935) e ad Antinoe (1937-1939), sia di offrire una scelta dei più significativi esemplari dalla collezione dei calchi e gli oggetti egizi ed egittizzanti acquisiti prima del 1824. Nacque nel 1824 grazie a Leopoldo II di Lorena con i primi nuclei riuniti da Jean- François Champollion e da Giuseppe Nizzoli. Con la “Spedizione letteraria in Egitto” del 1828-1829 pervennero oltre 2'200 reperti documentanti  tutti gli aspetti della vita dell’antico Egitto. Nel 1832 entrarono i circa 850 pezzi del medico viaggiatore senese Alessandro Ricci. Nel 1855 Michele Arcangelo Migliarini istituì presso l’ex convento delle Monache di Fuligno il “Nuovo Museo Egizio”. Nel 1880 il giovane egittologo Ernestro Schiapparelli venne incaricato di trasferire le collezioni nell’attuale sede e di curarne il percorso espositivo integrandolo con nuove acquisizioni tra il 1882 e il 1894. Nel 1937 e nel 1939 il materiale fu arricchito dai doni, non papiracei, dell’Istituto Papirologico Fiorentino, mentre nel 1919 fu la volta del dono Newman e nel 1948 del lascito Wilson-Barker. Tra i pezzi più rilevanti menziono: Lastra per Shery, da una stele falsa-porta della di lui tomba, a Saqquara, ora al Museo Egizio di Il Cairo; Ippopotamo in “faïence” egiziana, simbolo di fecondità, immaginato immerso nel Nilo e quindi recante dipinti sul corpo fiori e bocci di ninfea; Stele commemorativa di una campagna militare, regno di Sesotris I, anno 18° (corrispondente al 1935 a.C.); Testa di statua effigiante la regina Tiy, moglie di Amenophis III (1403-1365 a.C.), proveniente da Karnak; Modelli di vasi per unguenti, di strumenti da lavoro e di suppellettili, da un deposito di fondazione della tomba di Hashepsowe nella Valle dei Re, contrassegnati dai cartigli della regina; Statua raffigurante Tuthmosis III; Ritratto femminile funerario, dalla raccolta Rossellini – il primo del genere giunto in Europa – dell’epoca dei Flavi; Pittura parietale della tomba di Sebekhotep, soprintendente del lago di Sobek, a Sheikh ‘Abd el-Qurna, epoca di Tuthmosis IV (Nubiani con i figli e due siriani recanti offerte); Pitture parietali della tomba del regio scriba Horembab (c. 1490-1365 a.C.); Gruppo funebre per lo scriba Hemesh, tra due immagini della moglie Beket (inizio della Dinastia XVIII); Piccola statua-cubo per Amenemhat, sacerdote di Amun in Tebe (Dinastia XVIII); Carro ligneo, rinvenuto smontato e quasi intatto in una tomba della necropoli tebana da Rossellini; Calice in forma di ninfea; Hathor che allatta il faraone Horemhab; Testa di statua femminile in terra cruda e stucco (Dinastia XX, da Deir el-Medina); Bassorilievo raffigurante la dea Ma’at; Papiro per la cantante di Amun Taseshed-Khonsu, del tipo cosidetto “mitologico” (Dinastia XXI, 1069-945 a.C.); Frammento parietale della tomba del regio scriba Iuty, con scene illustranti il capitolo 110 del “Libro dei Morti”, in cui si descrivono i “Campi della felicità” (Dinastia XIX); “Pyramidion” di una stele per Neforhor, con inno a Re’ (Sole); Corredo funerario di Amenhotpe detto Huy (Regni di Amenophis III e IV) con una stele, cinque vasi in calcite (di cui due iscritti), statuetta naofora, “pyramidion”, modelli di astuccio per scriba in calcite e di cubito; Statua-cubo per Ptahmose (Regno di Amenophis III, 1403-1365 a.C.); Pilastro dalla tomba di Pahemnetjer; Involucro antropoide, in tela e stucco, dipinto e dorato per la mummia di Takhereb (Epoca Tolemaica); Cassa antropoide e Cassa esterna parallelepipeda per Tjesre’peret, nutrice di una figlia di Taharqua (Dinastia XXV, 690-664 a.C.); Busto di un faraone della Dinastia XXVI; Due rarissime stele recanti l’atto di acquisto di tombe; Bassorilievo con scena di caccia agli uccelli palustri; Bassorilievo con artigiani al lavoro; Sarcofago per il visir Bakenrenef (regno di Psammetico II, 595-589 a.C.). Conclusa la visita (resa ancor più gradevole da una rilassata atmosfera che invadeva tutti i presenti grazie ai quali la festa è entrata anche nel Museo dando vita a un bellissimo dialogo di Rificolone che sfilavano tra le opere ivi esposte accompagnati dallo schiamazzo dei più piccoli e dai toni sereni dei più grandi) uscendo dal Museo, servendosi del delizioso giardino, che costeggia la Via della Colonna, arricchito di statuaria ed elegante architettura giardiniera (e per l’occasione della straordinaria apertura serale reso ancor più suggestivo da filari di lumi in citronella con il gioco di caravaggesche luci e ombre danzanti tra le fogge della natura), si torna in una Piazza dell’Annunziata ormai svuotata, ma nella quale il baccano della festa ha lasciato il suo segno con carte e rificolone bruciate per terra. Osservando l’efficienza e il buon lavoro degli operatori ecologici (verso i quali anche il Francesco I del Giambologna, dal suo cavallo, pare apprezzare il loro fondamentale operato, quasi a volerli ringraziare con il levare del suo braccio), si ha nel cuore la coscienza di aver vissuto una bella serata nel nome della sana tradizione popolare e della grande cultura, anche se al contempo un po’ di amaro insiste nel nostro profondo essendo coscienti della superficialità, insicurezza e anticonservatività in cui versa l’irripetibile testimonianza del passaggio dei nostri avi, “preda” di strutture assolutamente insufficienti come quella del Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Un vero peccato al quale non mi pare che si stia correndo ai ripari come si dovrebbe. Al momento.
Firenze. Museo Archeologico Nazionale, Piazza SS. Annunziata. Il 7 settembre 2010.

1 commento:

  1. Spero che si trovi una soluzione per allestire e terminare il processo di riordino delle collezioni, e la riapertura degli ambienti ancora
    interdetti dal 1966.
    Difficile sarà ottenere risorse da lasciti di qualche facoltoso come in passato, speriamo che arrivi in aiuto il ministero competente.
    Nell'attesa, invio i miei migliori Auguri.
    Elio Nizzoli

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